La ricerca scientifica ha evidenziato come l’olio di oliva rappresenti quanto di meglio si possa desiderare dall’attività biologica di un grasso, per l’equilibrato rapporto tra gli acidi grassi e per la presenza nell’extravergine di alcuni componenti minori dotati di elevata attività protettiva.
I grassi sono indispensabili per l’organismo perché forniscono calorie per lo svolgimento dell’attività fisica, ma anche perché forniscono alcuni elementi fondamentali per la struttura e la funzionalità degli organi cellulari e per il normale metabolismo. Non tutti i grassi tuttavia sono ben tollerati dal nostro organismo.
Nei grassi animali, solidi a temperatura ambiente, prevale il contenuto in acidi grassi “saturi”, mentre negli oli vegetali, liquidi a temperatura ambiente, prevale il contenuto in acidi grassi “insaturi”. La parola “insaturo”, indica la presenza di un doppio legame (legame insaturo) nella molecola dell’acido grasso.
Il doppio legame può a sua volta essere unico, ed allora avremo i “monoinsaturi”, o più di uno, ed allora avremo i “polinsaturi”. Questa differenza chimico – fisica è di notevole importanza non solo perché l’insaturazione rende fluidi i grassi, ma anche perché i grassi solidi, quali sono i grassi animali (ricchi in acidi grassi saturi), determinano un aumento del colesterolo nel sangue, con un conseguente aumento del rischio di infarto del miocardio e dell’ictus cerebrale. E sembrano anche favorire la comparsa di alcuni tumori come quello del colon e della mammella.
Un discorso a parte deve però essere fatto per gli oli vegetali troppo ricchi in acidi grassi polinsaturi. Tali acidi grassi (di cui sono ricchi gli oli di semi) sono sicuramente indispensabili per il nostro organismo come elementi strutturali delle membrane cellulari e delle lipoproteine, e come substrato per la sintesi di alcuni ormoni (prostaglandine).
Il loro apporto alimentare tuttavia non deve essere elevato, ma contenuto nel 2% delle calorie totali, perché, proprio per la loro elevata insaturazione, costituiscono il bersaglio della perossidazione operata dai radicali liberi dell’ossigeno, un evento che può essere paragonato all’irrancidimento che si verifica quando un grasso viene lasciato esposto all’aria.
La perossidazione biologica non va sottovalutata perché può essere responsabile di danni all’organismo del tutto sovrapponibili a quelli descritti per gli acidi grassi saturi. L’irrancidimento del grasso esposto all’aria avviene per opera dell’ossigeno e, con un meccanismo analogo, si verifica la perossidazione biologica nel nostro organismo in quanto, durante la produzione di energia una parte dell’ossigeno sfugge al normale processo ossidativo e produce radicali liberi.
Questi ultimi sono composti instabili e fortemente reattivi, e, se non inattivati, vanno a colpire gli acidi grassi polinsaturi determinando una reazione a catena che può alterare le strutture più fini dell’organismo favorendo tra l’altro anche il processo di invecchiamento. Ciò fa comprendere come una certa prudenza debba essere usata nei confronti degli oli troppo ricchi in acidi grassi polinsaturi, come gli oli di semi, evitandone eccessive assunzioni per sfuggire al rischio perossidativo.
Accanto agli acidi saturi e ai polinsaturi esistono però anche i monoinsaturi, caratterizzati dall’avere un solo doppio legame. Questi acidi grassi, che costituiscono l’80% dei componenti dell’olio di oliva, non subiscono l’effetto perossidativo dei radicali liberi dell’ossigeno e non aumentano i livelli di colesterolo, anzi ne favoriscono l’eliminazione e da studi recenti si è visto addirittura che combattono direttamente la formazione della placca aterosclerotica, attraverso l’inibizione di molecole adesive implicate nella patogenesi della malattia.
L’azione protettiva dei monoinsaturi è stata ripetutamente confermata dagli studi di fisiopatologia e di biologia molecolare ed è stato documentato come favoriscano anche lo sviluppo infantile così come nell’età avanzata ritardino la comparsa del deterioramento mentale.
L’acido oleico, quindi, componente fondamentale dell’olio di oliva, si dimostra prezioso per il mantenimento della nostra salute. Considerato da solo, tuttavia, l’acido oleico non appare sufficiente a dimostrare completamente l’effetto protettivo svolto dall’olio di oliva, effetto che sembra doversi attribuire al suo insieme con i componenti minori presenti nell’extravergine.
Tali componenti minori (che si perdono con la rettificazione) sono l’alfatocoferolo (vitamina E), alcuni carotenoidi e soprattutto i composti fenolici, tutte sostanze che per il loro potere antiossidante svolgono già “in vitro” un ruolo protettivo, dando ragione della marcata stabilità dell’olio di oliva anche nei confronti delle termossidazioni provocate dalla frittura.
L’attività più importante però di questi composti si svolge soprattutto nell’organismo impedendo le perossidazioni biologiche causate dai radicali liberi dell’ossigeno. In particolare una spiccata attività antiossidante è stata dimostrata per l’idrossitirosolo e per l’oleoeuropeina, polifenoli che sembrerebbero addirittura più attivi della vitamina E, ma anche per gli acidi ferulico, vanillico e caffeico. Tutti questi composti fenolici hanno dimostrato di agire non soltanto come antiossidanti diretti, ma anche come fattori di risparmio della vitamina A e della vitamina E, come antiaggreganti piastrinici, come antitumorali, come antiallergici e come antinfiammatori.
Del tutto recentemente è stata anche evidenziata un’attività protettiva sulla cute svolta da un’altra sostanza, lo squalene, un idrocarburo triterpene, che si comporta come un vero filtro delle radiazioni solari ultraviolette.
Accanto a queste importanti attività protettive a livello metabolico, non deve essere poi dimenticato che l’olio di oliva presenta alcune azioni favorevoli anche a livello dell’apparato digerente. Non provoca infatti (a differenza dei grassi animali) reflusso gastro-esofageo e passa rapidamente dallo stomaco nel duodeno non determinando quindi né acidità, né pesantezza post-prandiale.
Giunto a livello duodenale, stimola poi lo svuotamento della cistifellea (in maniera dolce e graduale) consentendo un rapido ed efficace emulsionamento e quindi un altrettanto rapido assorbimento, riducendo nello stesso tempo la formazione della calcolosi biliare.
Non va infine dimenticato che la sua azione di svuotamento della cistifellea favorisce l’attività motoria dell’intestino combattendo la stitichezza e la formazione dei diverticoli.
In conclusione, questo alimento tipicamente mediterraneo, antico per tradizioni, ma moderno quanto alle conoscenze scientifiche, può spiegare come mai l’Italia sia oggi uno dei paesi più longevi del mondo. Concludiamo ricordando che le sue qualità non si limitano alle sole virtù salutistiche: l’olio extravergine di oliva costituisce, infatti, un ingrediente fondamentale per la buona cucina e la buona tavola grazie ai suoi pregevoli caratteri organolettici, i quali sono strettamente legati alla presenza dei suoi componenti minori, che abbiamo visto dotati di alto valore biologico, ma che nello stesso tempo gli conferiscono la caratteristica fragranza e sapidità.
Quando e dove sia nata l’olivicoltura è molto difficile dire con precisione: in molti indicano l’area della “mezzaluna fertile”, quella terra che si estende in Medio Oriente fra il Tigri e l’Eufrate, che per la sua particolare condizione climatica, è stata un terreno ideale per la crescita di questo antico oleastro.
Chi per primo, invece, provò a spremere le piccole drupe amare dovrebbe essere iscritto di diritto fra i benefattori dell’umanità. Ritrovamenti di epoca preistorica ci dicono che già nel periodo Terziario, vale a dire circa un milione di anni fa, l’oleastro o un suo progenitore veniva in qualche modo utilizzato nei pressi di Bologna, dove in insediamenti umani sono state rinvenute alcune foglie fossili. Sulla riviera francese, vicino a Mentone sono stati rinvenuti noccioli di oliva risalenti al paleolitico, vale a dire a 35000-8000 anni avanti l’era cristiana, mentre risalgono al periodo neolitico (8000-2700 a.C.) i ritrovamenti che testimoniano la presenza dell’olivo in Spagna. Sempre al neolitico risalgono le testimonianze dell’olivo in Puglia, mentre sul lago di Garda, nell’età del bronzo (1500-1000 a.C.) ritrovamenti testimoniano che l’olivo era già presente nell’alimentazione umana.
Ma è a Creta che l’olivo cominciò la sua marcia di conquista di tutto il bacino del Mediterraneo. Furono i navigatori fenici e cretesi a diffondere l’olivo in Italia: nelle loro terre la coltivazione dell’olivo era largamente diffusa e l’olio veniva commercializzato presso tutti i popoli rivieraschi del Mare Nostrum. Ma la maggior quantità di testimonianze sulla fioritura dell’olivicoltura si colloca in alcuni paesi dell’Oriente mediterraneo, come la Siria, la Palestina e non solo l’isola di Creta; qui sono stati rinvenuti rustici e semplici mortai di pietra dove le olive venivano schiacciate a mano e la pasta posta in una sorta di fiscolo ante litteram confezionato con rami d’olivo, su cui veniva appoggiata una pietra. Il liquido prezioso veniva poi fatto decantare in vasche di pietra.
A Crosso, nell’isola di Creta, si trova poi la più antica documentazione iconografica che riguarda l’olivo, raffigurato in un celebre affresco fatto risalire a 1400 anni circa prima dell’era cristiana. La commercializzazione del prezioso prodotto avveniva attaverso navi veloci su cui erano caricati vasi e otri in pelle di capra, che prendevano soprattutto la via dell’Egitto, dove il prezioso unguento veniva usato durante le imbalsamazioni dei defunti: nessuno infatti poteva avvicinarsi agli dei dell’oltretomba se non aveva il corpo unto di olio d’oliva. Nella tomba di Tutankamen, sono stati trovati i famosi vasi a staffa usati dai cretesi per il trasporto dell’olio in Egitto, nonché ramoscelli di olivo accanto a ghirlande di fiori.
Non meno numerose sono le testimonianze dell’importanza dell’olivicoltura in Grecia, dove l’olivo era ritenuto pianta sacra dedicata alla dea Minerva. Omero ci racconta come Ulisse avesse costruito il talamo nuziale con il legno dell’olivo, mentre uomini e cavalli delle saghe omeriche traevano forza dall’effetto balsamico dell’olio. Sull’Acropoli vi era un olivo centenario venerato dagli Ateniesi, poiché si credeva che la stessa Minerva ve lo avesse piantato: i suoi rami erano utilizzati per intrecciare ghirlande per gli eroi e l’olio estratto dalle drupe degli olivi che ricoprivano le pendici del Partenone veniva offerto in premio ai vincitori dei giochi Panathenei, mentre una speciale magistratura era nominata per la custodia e la tutela dell’integrità delle piante. A partire dal IX secolo a.C., la piantagione degli olivi è largamente diffusa sia in Grecia che sulle coste africane cartaginesi: da qui alle coste della Spagna e della Sicilia il passo è breve.
E’ tra il VI e il IV secolo a.C. che l’olivo si diffonde pienamente nella penisola italica. C’è un antico e gigantesco olivo a Canneto Sabino, quasi alle porte di Roma, che è considerato il più antico d’Europa: è stato sottoposto recentemente all’esame del Carbonio-14, che ha stabilito la sua data di nascita ai tempi di Anco Marzio, quarto Re di Roma. Il visitatore rimarrà stupito nel vedere quanto rigoglioso e frondoso sia ancor oggi il vecchio olivastro romano. La massima diffusione dell’olivicoltura nel bacino del Mediterraneo si deve tuttavia ai Romani; dove arrivavano e si stabilivano le legioni, si provvedeva immediatamente alla piantagione di viti, olivi e alla semina del grano: alla civiltà romana si devono dunque le estese coltivazioni olivicole dei paesi rivieraschi dell’Africa, della Spagna e della Francia, ma spesso anche più a nord, laddove condizioni climatiche allora molto più favorevoli ne consentivano la messa a dimora. Le proprietà terapeutiche dell’olio di oliva erano largamente conosciute ai Romani, i quali impararono a ungersi il corpo con questo prezioso unguento, allo scopo di renderlo più vigoroso. Durante la stagione invernale una dotazione di olio veniva distribuita ai soldati che ungendosi si proteggevano dal freddo.
Anche a Roma come nei paesi del Medio Oriente e in Grecia, la produzione e il commercio dell’olio, divenuti un grosso cespite di guadagno per l’erario, venissero sottoposti ad amministrazione controllata dallo Stato; ecco dunque che, man mano che cresceva la domanda del prodotto, altrettanto crescevano dazi e balzelli. Plinio, che vive verso la metà del I sec. d.C., sostiene – pensiamo a ragione – che la coltivazione e produzione erano così tecnologicamente avanzate che l’Italia era in grado di commercializzare il miglior olio e al minor prezzo. Erano infatti diffusi e molto avanzati gli studi sull’olivicoltura, per quanto riguarda la natura del terreno, l’esposizione, il clima, la propagazione per talea o per innesto, la distanza consigliabile da interporre tra albero e albero; si classificano le olive, si stabiliscono i migliori criteri per la macinazione delle drupe e per la conservazione ottimale del prezioso liquido; si arriva finanche a stabilire – con criteri riscoperti solo di recente da molti nostri olivicoltori – che l’olio prodotto da drupe raccolte non a perfetta maturazione è assai migliore e sulle mense romane si fa distinzione fra gli oli sapidi della Sabina e quelli leggeri della Liguria. L’olio non solo serviva come alimento, ma la sua morchia bruciata costituiva un ricco concime, gli oli più pesanti davano luce alle lampade, mentre il suo legno prezioso poteva essere bruciato soltanto sull’altare degli Dei.
A partire dal tardo impero (IV sec. d.C.) la storia del bacino mediterraneo volge verso un lungo periodo di guerre, carestie e abbandono delle terre coltivate, delle quali si riappropriano, soprattutto in Italia, la boscaglia e la palude: l’agricoltura ristagna e gli olivi non più potati e curati da mani esperte inselvatichiscono e muoiono. L’olio, nei secoli che precedono il Mille, diventa un bene rarissimo e sempre più prezioso, anche perché la capitale, trasferitasi a Costantinopoli, ha dapprima allentato e poi soppresso totalmente i controlli sulla produzione e il commercio dell’olio. Per questa ragione la rara produzione è ora solo nelle mani di piccoli produttori, che non sono certamente in grado di commerciare. A dare un minimo di fiato alle produzioni, intervennero le donazioni normanne e longobarde fatte alla Sede Apostolica, ma anche alle Abbazie e agli Ospedali, il cui lavoro fece da tramite alla ripresa dell’olivicoltura dopo il Mille.
Furono le comunità monastiche a dare nuovo impulso all’agricoltura, a bonificare i terreni invasi dalle acque, a mettere a dimora nuove piante di vite e di olivo. Ecco dunque l’olivo affacciarsi al quattordicesimo secolo, dove lo troviamo gran protagonista del Rinascimento, insieme alla vite e all’agricoltura. Il governo mediceo di Firenze sarà il primo in Italia ad intuire l’importanza dell’olivicoltura. Saranno i Medici a dare grande impulso a questa coltivazione, concedendo gratuitamente vaste estensioni di terreno soprattutto collinare con l’unico impegno da parte del concessionario che vi si piantino olivi; si getteranno così quelle solide basi che ancor oggi conosce l’olivicoltura toscana.
Il secolo XVIII diventa così il secolo d’oro dell’olivicoltura nazionale: si promuovono studi, si pubblicano trattati, si incentivano le produzioni e i sistemi di raccolta e conservazione per cui l’Italia risulta essere la produttrice del miglior olio che si trovi sul mercato europeo, tanto che durante questo secolo, ma anche nel successivo, si vanno sempre più estendendo le superfici convertite all’olivicoltura, cui attinge non solo il settore alimentare, ma anche la nascente industria conserviera, quella dell’illuminazione, della saponificazione e altre.
Il secolo XX, con l’arrivo delle nuove tecnologie, ha visto notevolmente modificato il lavoro di molitura, consentendo prezzi più bassi ed una più rapida diffusione del prezioso olio. Oggi l’olio di oliva è rimasto una pietra miliare nell’alimentazione mediterranea, protetto da Dop e Igp, guardato con sempre maggiore rispetto dalla dietologia moderna. Questa ci ha insegnato che, usato con intelligenza, l’olio extravergine di oliva è il condimento sano per eccellenza. I nostri antenati di questo ignoravano tutto, ma ne avevano fatto il condimento base della propria alimentazione, povera, sì, ma sana ed esaltata nei sapori e nei profumi dei prodotti della terra.
É accertato ormai che gli organi sensoriali umani, sottoposti a sollecitazioni e stimoli esterni, si comportano come veri e propri strumenti di misura. Nel settore gastronomico e in particolare nel mondo dell’olio di oliva, l’analisi sensoriale è stata introdotta abbastanza di recente. Le esperienze comunque che fino ad oggi sono state acquisite, ci portano a pensare che le aspettative siano ampie e soprattutto rispondenti a quelle leggi matematiche che basano la loro applicabilità sulla ripetitività dei metodi analitici.
Nel mondo dei degustatori professionisti, il giudizio sensoriale è stato codificato dal Consiglio Oleicolo Internazionale, attraverso apposite commissioni di esperti chiamate “Panel”. Ma in pratica è possibile per tutti riconoscere la qualità e la provenienza di un olio vergine di oliva semplicemente degustandolo? La risposta non può che essere affermativa, a patto che colui che si avvicini al mondo della degustazione ottemperi ad una serie di regole di comportamento: la conoscenza dei sensi, la sequenza delle operazioni da effettuare e un bagaglio di esperienze a supporto. Per i neofiti, ecco in dettaglio le operazioni fondamentali da eseguire per arrivare ad una buona conoscenza dei caratteri principali di un olio di oliva. Prima di iniziare una seduta di assaggio è bene ricordare di provvedere a munirsi di mele verdi possibilmente varietà “Granny Smith”, per pulire la bocca con un pezzetto delle stesse per la degustazione tra un campione e l’altro.
L’analisi olfattiva
Riveste una notevole importanza ai fini del giudizio finale. Molte infatti le variabili che in questa indagine complicano la vita al degustatore. Innanzitutto bisogna dire per maggiore chiarezza che la capacità olfattiva umana è uno dei più complessi laboratori di percezione. Mai nessuna tecnologia o metodo di analisi potrà soppiantare questa naturale attitudine dell’uomo, e l’avvento dei Panel Test ne è un’ulteriore conferma. Fino a qualche anno fa, infatti, l’olio veniva sottoposto esclusivamente all’analisi chimica, che pur evidenziando la regolarità dei parametri analitici, non riusciva a valutare la corretta ed armonica percezione delle sensazioni. In poche parole un olio, pur rientrando nei valori di acidità, perossidi e altri, poteva (molto spesso) risultare totalmente sgradevole all’indagine sensoriale. Da qui la necessità da parte del legislatore di anticipare al giudizio chimico quello degustativo. Ma torniamo all’analisi olfattiva. Dopo aver versato il nostro olio in un bicchiere (circa 20 ml.), abbiamo l’obbligo di portarlo alla temperatura ottimale per la degustazione (circa 28°). Il metodo ufficiale prevede l’utilizzazione di appositi strumenti scalda olio, detti “termostati”; il metodo più comune, invece consiste nel riscaldare tra le mani il bicchiere in cui è contenuto il nostro olio, tenendolo coperto per qualche minuto e agitandolo delicatamente in modo da accelerare questo processo. A questo punto si avvicina il bicchiere al naso e si inspira profondamente da entrambe le narici. Poco dopo, pena l’assuefazione, questa operazione si ripete una seconda volta per conferma. L’aroma percepito è subito valutabile, siano odori gradevoli dovuti alle caratteristiche positive o sensazioni sgradevoli che indicano la presenza di difetti. Attributi positivi o negativi, che la successiva analisi gustativa dovrà confermare.
L’analisi gustativa
L’olio viene portato al nostro cavo orale. Il metodo consigliato consiste nell’assumerlo (senza deglutirlo) con una suzione prima lenta e delicata e poi sempre più vigorosa. In questa fase, lasciate riscaldare qualche minuto l’olio, in modo da favorire l’evaporazione delle componenti volatili. Contemporaneamente, inspirate aria in modo da ossigenare l’olio (strippaggio) e roteatelo per diverso tempo, così da farlo venire a contatto con tutte le papille gustative. Questa fase è la più critica. Infatti, è grazie al contemporaneo riscaldamento, ossigenazione e roteazione, che pregi e difetti di un olio si percepiscono maggiormente. L’olio dovrà essere distribuito su tutto il cavo orale e in particolare su tutta la lingua, dalla punta, al dorso, ai margini e nella parte terminale. Fondamentale in questa fase la memorizzazione e l’ordine di percezione degli stimoli. Da quelli “tattili” che ci descrivono la fluidità, la consistenza e l’untuosità, fino a quelli “gustativi” che si traducono in sensazioni di “dolce”, “amaro”, “piccante” ecc., man mano che l’olio avanza verso la parte terminale della lingua. Fatto ciò, “si può” espellere l’olio. L’insieme delle percezioni tattili e gustative, unite all’indagine olfattiva e visiva, permette di formulare così il giudizio finale che dovrà tenere conto anche dell’armonia complessiva delle sensazioni provate.
L’analisi visiva
“Strano a dirsi”, non riveste una particolare importanza durante l’indagine sulla qualità di un olio. Lo dimostra il fatto che nelle commissioni di assaggio ufficiali, i bicchieri da degustazione sono volutamente colorati, con cromatismi che vanno dal marrone ruggine al blu cobalto. Il motivo di questa scelta è legato alla necessità di mascherare le caratteristiche visive, che inevitabilmente potrebbero influenzare il giudizio dell’assaggiatore. Infatti le diverse sfumature di colore dell’olio, che vanno dal giallo al verde intenso, sono dovute esclusivamente alla varietà di origine dell’oliva o al grado di maturazione di questa. Altro fattore è la limpidezza. Anche in questo caso la scelta di ottenere un olio limpido o velato non è assolutamente un indicatore di qualità, ma dipende esclusivamente dalle diverse tecnologie utilizzate e dagli obiettivi di produzione delle aziende. Solo successivamente il degustatore, dopo aver valutato le caratteristiche olfattive e gustative, ritornerà sugli aspetti visivi. Tre, le diverse caratteristiche da valutare: la limpidezza, la densità e il colore. La limpidezza è un parametro che varia in funzione dell’età e dei processi di filtrazione a cui l’olio è stato più o meno sottoposto. La densità dipende, invece, dall’origine territoriale dell’olio. Mentre il colore varia in funzione del tipo di oliva, dell’epoca di raccolta, delle tecniche di trasformazione e dell’invecchiamento dell’olio.